“El balòn”. Alla fine di una lunga e toccante intervista rilasciata a Donatella Scarnati e pubblicata su Vivo Azzurro TV nel giorno del suo ottantatreesimo compleanno, Sandro Mazzola risponde senza esitazioni alla domanda su cosa lo emozioni ancora. Lo ripete quattro volte, quasi a voler rievocare un amore tanto passionale quanto corrisposto: “Il pallone, il pallone, il pallone, il pallone…”. Poi aggiunge: “E vedere i giovani che si impegnano con il pallone”. Su quelle due parole, giovani e pallone, ruota la lunga ‘confessione’ a cuore aperto. La terza parola è papà. E non potrebbe essere altrimenti. Perché nella tragedia di Superga, che ha privato l’Italia di quel Grande Torino assurto a mito, Sandro ha perso molto più di un campione. Ha perso il suo papà. A Donatella Scarnati, che gli chiede cosa direbbe oggi al padre, risponde così: “Oggi gli direi di non dirmi più niente”. Il motivo lo spiega direttamente a papà Valentino. L’intervistatrice e la telecamera sembrano sparire, lasciando spazio a un colloquio intimo tra padre e figlio: “Perché non sono capace di fare quello che vuoi che faccia come mi dicevi quando ero più piccolo e non riuscivo a fare niente”.

 

Sandro Mazzola con il papà Valentino

SUPERGA E ‘VELENO’ LORENZI. Il 4 maggio 1949 l’aereo con a bordo il Grande Torino si schianta sulla collina di Superga di ritorno dal Portogallo, dove i granata erano andati a disputare un’amichevole con il Benfica. Tra le 31 vittime c’è anche Valentino Mazzola, capitano e simbolo di una squadra capace di vincere ben cinque scudetti consecutivi. Sandro ha solo sei anni: “È stata una cosa molto strana – ricorda - tutti mi abbracciavano, ma nessuno mi diceva quello che era successo”. Da Torino si trasferisce a Cassano d’Adda, nel milanese, il paese natale del papà: “Andavo sempre in giro con la palla: palleggi, testa e piede, poi mi nascondevo perché altrimenti i nonni mi portavano via il pallone”. In casa Mazzola sta nascendo un altro campione: “Sapevo che dovevo dribblare, tirare in porta, fare gol, ma che potevo diventare forte non l’ho mai pensato. Quando mi dicevano che ero bravo, guardavo in cielo e pensavo al mio papà”. Tra i primi ad accorgersi delle potenzialità del piccolo Sandro è Benito Lorenzi. Compagno di Mazzola in Nazionale, ‘Veleno’ Lorenzi era in campo il 30 aprile del 1949, quando a San Siro pareggiando 0-0 con l’Inter il Torino ipotecò di fatto il suo quinto titolo. Se i nerazzurri avessero vinto, riaprendo di fatto la corsa allo scudetto, il presidente granata Ferruccio Novo non avrebbe mandato la sua squadra in Portogallo per l’amichevole con il Benfica. Lorenzi ha un paio di buone occasioni, ma complici le grandi parate del portiere Bacigalupo non riesce a segnare. Il rimpianto per non aver regalato la vittoria alla sua squadra diventerà un enorme fardello pochi giorni più tardi. Per l’affetto che lo legava a Valentino, Lorenzi diventa una sorta di padrino per Sandro Mazzola. A raccontarlo è il figlio di Sandro, che porta lo stesso nome del padre: “Benito Lorenzi si affezionò a lui e lo portò a fare la mascotte insieme al fratello Ferruccio. Quando l’Inter vinceva il presidente Moratti dava anche a loro un premio”. Da mito nasce mito.

 

Sandro Mazzola e Gianni Rivera: i protagonisti della staffetta più famosa del calcio italiano

LA STAFFETTA MAZZOLA-RIVERA. Campione d’Europa nel 1968, due anni dopo nel Mondiale messicano Sandro Mazzola diventa suo malgrado uno dei protagonisti della più celebre staffetta del calcio italiano: “Ci misero uno contro l’altro – racconta – per noi però non era un ‘uno contro l’altro’, ma uno che cercava di giocare meglio dell’altro. Questo ci faceva fare delle grandi cose. Io mi sono arrabbiato e si è arrabbiato anche Rivera. Non capivamo. Forse avremmo dovuto essere più intelligenti e capire perché si era arrivati a fare una cosa del genere, ma non ci riuscimmo. Noi volevamo giocare e basta”. Forse anche grazie alla staffetta o nonostante la staffetta, l’Italia arriva in finale contro il Brasile di Pelé: “È stato un Mondiale fantastico, non pensavamo all’inizio che sarebbe diventata una cosa del genere. Ma come entravamo in campo ci sentivamo più forti”.

 

Sandro Mazzola e Luis Suarez nel giorno della presentazione all'Inter di Ronaldo il Fenomeno

BANDIERA NERAZZURRA. Oltre alla maglia azzurra della Nazionale Sandro Mazzola ha vestito solo un’altra maglia. Quella nerazzurra dell’Inter, indossata 417 volte senza considerare gli anni nelle giovanili. “Chi sono? Sono uno che ha vinto un po’ tutto nel calcio. Ma soprattutto sono uno al quale piace essere…per i giovani. La gente mi scrive ancora, vogliono sapere come sto. E questo è bellissimo. Significa che non ho buttato via la mia carriera”. E no che non l’ha buttata. Perché oltre a vincere due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali e quattro scudetti, Sandro Mazzola è entrato nel cuore di milioni di tifosi diventando una bandiera del club. Il ricordo carico d’affetto per Angelo Moratti (“se ti metteva la mano sulla spalla voleva dire che aveva deciso che eri bravo”) si unisce a quello per Helenio Herrera: “Il Mago era fantastico, ti prendeva sempre per mano sia se facevi bene sia se facevi male”. Visto che sono molte di più le volte che fa bene, Mazzola attira le attenzioni di altri grandi squadre. Comprese Juventus e Milan: “Ma non potevano prendermi, come avrei fatto a mettermi una maglia con il bianco e nero o con il rosso e nero. No no, mi avrebbe messo un dolore allo stomaco che mi avrebbe fatto sbagliare gli stop, i tiri in porta…”.

SOGNI DA CT. “Non dirò mai che sono appagato” assicura, spiegando uno dei segreti alla base del suo successo: “Ho sempre cercato di fare di più. Il grande calciatore è quello che riesce a far vedere non al pubblico, ma ai compagni e agli avversari, ciò che sa fare”. L’amicizia è insita nel concetto di squadra: “L’amicizia per me vuol dire giocare assieme. Abbracciare il compagno, parlargli. Ci sono sempre dei momenti in cui si ha bisogno di un compagno, è importantissimo il compagno…”. Quasi cinquant’anni dopo aver appeso gli scarpini al chiodo e dopo una seconda vita che l’ha visto indossare i panni di dirigente, direttore sportivo e commentatore televisivo, Sandro Mazzola si riscoprirebbe volentieri anche commissario tecnico: “Un desiderio? Allenare una Nazionale, vederla giocare come vorrei”. Magari con due Mazzola in campo, Valentino e Sandro, a passarsi il pallone e ad abbracciarsi dopo un gol.